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Italo Calvino visse a Parigi per tredici anni, dal 1967 al 1980. Fu un periodo per lui fondamentale sul piano personale e su quello letterario.
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La conoscenza approfondita della cultura francese di quegli anni (Parigi era la capitale della Nouvelle vague, degli intellettuali engagés, dello strutturalismo, della psicoanalisi), e in particolare gli stretti legami con il gruppo dell’Oulipo (di cui facevano parte Raymond Queneau e Georges Perec) e con Roland Barthes, hanno impresso una svolta fondamentale al suo lavoro e alla sua visione della letteratura. In quegli anni nascono "Le città invisibili", "Il castello dei destini incrociati" e "Se una notte d’inverno un viaggiatore", romanzi molto innovativi, che suscitarono non poche discussioni sull’evoluzione “francese” dello scrittore. Per Calvino Parigi era al contempo un rifugio, un luogo d’esilio e di creazione letteraria, come si legge nel suo "Eremita a Parigi". Per certi versi, la capitale francese diventa anche una fonte d’ispirazione. E non a caso se ne ritrovano le tracce in alcune delle sue opere, ad esempio nei racconti di "Palomar". Fabio Gambaro si concentra su questo periodo della biografia di Calvino, per far luce su un’esperienza essenziale ma ancora poco conosciuta dell’autore del "Barone rampante". Senza dimenticare che gli anni parigini di Calvino evocano il mondo culturale parigino, quando ancora la Ville Lumière era la capitale mondiale della cultura. In questa prospettiva lo sguardo dello scrittore italiano sulla città e sulla sua cultura risulta ancora oggi acuto e stimolante.