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Agli inizi del XXI secolo i beni comuni sono riemersi nel dibattito pubblico dalla notte dei tempi, diventando la bandiera dei movimenti progressisti mondiali che cercano una via d'uscita dal capitalismo.
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T beni comuni non sono un retaggio del passato, una realtà che riguarda solo i popoli «in ritardo di sviluppo», ma beni - appunto, valori - di grande importanza nella attuale esperienza storica. Tra i beni comuni si distinguono Ì beni comuni materiali che coinvolgono il diritto di una comunità di godere dei frutti di un bene o risorsa naturale, che non è di proprietà né privata né pubblica, ma appunto comune o comunitaria. Vi sono poi «altri» beni comuni, materiali anch'essi, come l'atmosfera e la biodiversità, oppure immateriali come la creatività umana, la conoscenza e Ì saperi, oppure beni e servizi pubblici, di welfare, di mobilità e di comunicazione (internet), fino ai diritti «universali» della persona, che nella seconda metà del secolo scorso hanno preso il posto un tempo assegnato ai diritti «comuni». Significativo è il percorso storico-filoso-fico europeo che ha portato alla negazione dei beni comuni naturali, alla loro recinzione, alla mano invisibile, all'individualismo proprietario, al colonialismo, alla brevettabilità delle sementi e delle conoscenze. Il recupero dei diritti delle comunità sui beni comuni, la loro riappropriazione delle risorse naturali, rappresenta un nuovo paradigma di società organizzata a livello locale e a partecipazione democratica, ecologicamente sostenibile, integrativo e in parte anche sostitutivo del mercato, da rilanciare anche nei paesi del Nord. L'agricoltura organica di prossimità, i cicli corti, la riduzione dei tempi e dei costi energetici dei trasporti, e più in generale il controllo democratico del territorio da parte delle comunità locali possono fare la differenza dando protagonismo alle popolazioni ivi insediate su scelte che le riguardano da vicino e rilegittimando lo Stato e l'intervento pubblico, ridotto oggi - sempre più spesso - alla copertura di interessi privati. Ma affinchè questa proposta possa essere presa in considerazione, occorre che la politica diventi «ecologia politica», mettendo la Natura al centro delle politiche e valutando a monte quali effetti sociali ed ecologici quelle scelte possano produrre.